venerdì 5 settembre 2014

RIFLESSIONE DEL PAPA


Messa del Papa a Santa Marta 

Cosa lasciamo agli altri

Vivere per tutta la vita dentro la Chiesa, da peccatori ma non da traditori corrotti, con un atteggiamento di speranza che ci porta a lasciare un'eredità fatta non di ricchezza materiale ma di testimonianza di santità. 
Il vescovo di Roma ha centrato la sua riflessione sul mistero della morte, a partire dalla prima lettura - tratta dal primo libro dei Re (2, 1-4.10-12) - nella quale, ha detto, "abbiamo sentito il racconto della morte di Davide". E "ricordiamo l'inizio della sua vita, quando è stato scelto dal Signore, unto dal Signore". Era "un ragazzino"; poi "dopo alcuni anni incominciò a regnare", ma era sempre "un ragazzo, aveva ventidue o ventitré anni".
Tutta la vita di Davide è dunque "un percorso, un cammino al servizio del suo popolo". 
 Il racconto della morte di Davide ha suggerito al Pontefice tre riflessioni scaturite "dal cuore". Anzitutto ha rilevato che "Davide muore nel seno della Chiesa, nel seno del suo popolo. La sua morte non lo trova fuori del suo popolo" ma "dentro". E così vive "la sua appartenenza al popolo di Dio". Eppure Davide "aveva peccato: lui stesso si chiama peccatore". Però "mai se n'è andato al di fuori del popolo di Dio: peccatore sì, traditore no". Questa, ha detto il Papa, "è una grazia": la grazia di "rimanere fino alla fine nel popolo di Dio" e "di morire nel seno della Chiesa, proprio nel seno del popolo di Dio".Sottolineando questo aspetto, il Papa ha invitato "a chiedere la grazia di morire a casa: morire a casa, nella Chiesa". 
La Chiesa, ha precisato il Pontefice, è "madre e ci vuole anche così", magari pure "tante volte sporchi". Perché è lei che "ci pulisce: è madre, sa come farlo". Però sta "a noi chiedere questa grazia: morire a casa".
Il vescovo di Roma ha anche ricordato la testimonianza di santa Teresina di Gesù Bambino, la quale "diceva che, nei suoi ultimi tempi, nella sua anima c'era una lotta e quando lei pensava al futuro, a quello che l'aspettava dopo la morte, in cielo, sentiva come una voce che diceva: ma no, non essere sciocca, t'aspetta il buio, t'aspetta soltanto il buio del niente!". Quella, ha precisato il Papa, "era il demonio che non voleva che lei si affidasse a Dio".
Da qui l'importanza di "chiedere la grazia di morire in speranza e morire affidandosi a Dio". Ma l'"affidarsi a Dio - ha affermato il Pontefice - incomincia adesso, nelle piccole cose della vita e anche nei grandi problemi: affidarsi sempre al Signore.
Il terzo pensiero suggerito dal Papa è "il problema dell'eredità". In proposito "la Bibbia - ha precisato - non ci dice che quando morì Davide sono venuti tutti i nipoti, i pronipoti a chiedere l'eredità!". Ci sono spesso "tanti scandali sull'eredità, tanti scandali che dividono nelle famiglie". A questo proposito il Pontefice ha ricordato "un detto popolare" secondo cui "ogni uomo deve lasciare nella vita un figlio, deve piantare un albero e deve scrivere un libro: e questa è l'eredità migliore". Il Papa ha invitato ciascuno a chiedersi: "Che eredità lascio io a quelli che vengono dietro di me? Un'eredità di vita? Ho fatto tanto il bene che la gente mi vuole come padre o come madre?". Magari non "ho piantato un albero" o "scritto un libro", "ma ho dato vita, saggezza?". La vera "eredità è quella che Davide" rivela rivolgendosi in punto di morte a suo figlio Salomone con queste parole: "Tu sii forte e mostrati uomo. Osserva la legge del Signore, tuo Dio, procedendo nelle sue vie ed eseguendo le sue leggi".
 Così le parole di Davide aiutano a capire che la vera "eredità è la nostra testimonianza da cristiani lasciata agli altri". Ci sono infatti alcune persone che "lasciano una grande eredità: pensiamo ai santi che hanno vissuto il Vangelo con tanta forza" e proprio per questo "ci lasciano una strada di vita, un modo di vivere come eredità".

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